La nomina del cardinale di Bologna, Matteo Maria Zuppi, a presidente della Conferenza Episcopale italiana (CEI) non ha sorpreso gli osservatori ecclesiali.
Il percorso umano e pastorale del presule riflette l’ecclesiologia del magistero attuale che vede in papa Francesco un deciso riformatore istituzionale e un attento interprete pastorale di una società postmoderna e globalizzata.
L’Italia sta conoscendo profondi mutamenti che alternano speranze e incertezze in uno scenario mondiale reduce dalla pandemia e ora dalla guerra in Ucraina.
La progressiva uscita dalla sfera pubblica e dall’influenza politica della Chiesa in Italia deve rappresentare ora un’opportunità di evangelizzazione riattualizzata e rimodulata che parta dalla base e non dai palazzi del potere.
Le nuove povertà e le nuove periferie presenti nel nostro Paese non si esauriscono nell’aspetto materiale o ambientale, ma riflettono dei disagi esistenziali e generazionali.
Matteo Maria Zuppi, romano di origine, è figlio del fermento post-conciliare.
Ebbe tra i compagni di banco il cantautore Francesco De Gregori e Riccardo Di Segni, il rabbino capo di Roma.
Fu amico anche di David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, di cui ha celebrato i funerali a gennaio 2022.
Fu decisiva per il futuro cardinale la scoperta della comunità di S. Egidio attraverso Andrea Riccardi.
Maturò la sua vocazione nel volontariato verso gli ultimi: gli scolari poveri delle baraccopoli, gli anziani soli, gli immigrati, i nomadi, i carcerati, i tossici, i senzatetto…
A Santa Maria di Trastevere, dove i suoi parrocchiani conservano un grato ricordo, portava i clochard nel bar per offrirgli una colazione, ma soprattutto una nuova speranza e un invito, alle volte corrisposto, a lasciare la vita in strada.
Da giovane prete, don Matteo Maria concorse per la comunità S. Egidio alla pace in Mozambico attraverso viaggi di mediazione tra le fazioni in guerra nel paese africano.
Si adoperò per i processi di pace anche nella Regione dei Laghi devastata dal genocidio del Rwanda e Burundi nel 1994.
Nelson Mandela, il leader sudafricano della lotta all’apartheid affidò proprio a don Matteo Maria
Zuppi una parte del negoziato per il cessate il fuoco.
Don Matteo, diventato ormai arcivescovo di Bologna e poi porporato, ha sempre continuato la sua opera di pace stimmatizzando i naufragi dei migranti in mare e le colpe dei trafficanti di uomini e l’egoismo dei governi.
Nel 2019 ha scritto assieme a Lorenzo Fazzini il libro Odierai il prossimo tuo come te stesso (Perché abbiamo dimenticato la fraternità. Riflessioni sulle paure del tempo presente), in cui fra l’altro il nuovo lessico che trasforma i naufragi in “sbarchi” e i profughi in “invasori”.
La dimensione che gli è propria e quella nella quale viene spesso definito e quelle di “prete di strada”.
La sua è una “teologia incarnata” che realizza l’auspicio di una Chiesa in uscita e non imborghesita a favore degli ultimi e più vicina alla sua identità di popolo di Dio e corpo mistico di Cristo.
La votazione dei nostri vescovi e la scelta del Papa è un segnale positivo e promettente per l’Italia e per gli italiani, anche quelli ai confini della fede.
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