La Liturgia della Chiesa celebra oggi Maria Regina.
Non si tratta di un titolo datole a-posteriori alla sua vicenda storica quale tributo di fede e devozione del popolo cristiano, ma di una verità teologica.
La regalità di Maria è una reale condivisione della signoria-regalità di Dio.
Ogni privilegio le viene naturalmente attribuito innanzitutto in virtù della sua maternità divina.
È regina in relazione al progetto creativo del Padre che l’associa all’opera redentiva del Figlio.
È regina per l’imprescindibile comunione con il Figlio che troneggia anche dal paradosso della croce come “Gesù Nazareno, Re dei Giudei (INRI).
È regina in riferimento allo Spirito che la riveste della sua ombra con della potenza dell’Altissimo.
Ogni riferimento alle Persone trinitarie ha naturalmente uno spessore dottrinale che trova fondamento scritturistico e commento patristico.
Benché elevata alla più alta dignità creaturale, Maria si fece soprattutto discepola del Figlio meritando in modo eminente la “corona di giustizia” (cfr. 2 Tm 4, la “corona della vita” (cfr. Gc 1, 12; Ap 2, 10), la “Corona della gloria” (cfr. 1 Pt 5, 4) promessa ai fedeli discepoli di Cristo.
E’ un paradosso abbinare la maternità al discepolato, eppure nella mariologia è una costante armoniosa l’ossimoro cristiano: verginità-maternità, immacolatezza-redenzione, creaturalità-maternità divina e servizio-regalità che ha trovato eco nella liturgia e nell’arte, come recita il canto di S. Bernardo riportatoci nel Paradiso dantesco.
Sulla terra e nella storia, ciò che ha reso gloriosa Maria è il servizio.
Questo risponde a chi negli ultimi decenni argomentava che l’esaltazione massimalista di Maria diminuisse la sua esemplarità creaturale.
Come bene scrisse S. Giovanni Paolo II nella Mater Redemptoris, “servire è regnare”.
Maria è regina perché serve ed è serva perché è regina.
“L’Ancella del Signore” ha infatti scelto nella sua esistenza una condizione umile, laboriosa e generosa.
Maria ha meritato la regalità ed ha nobilitato il servizio.
Con larghe esemplificazioni, come scrive il Masciarelli, Maria in Cielo realizza un’esistenza dicibile con i tre verbi che il beato Antonio Rosmini Serbati ha fatto scrivere sulla sua tomba a Stresa: «Adorare, tacere e godere». Maria adora il Dio trinitario con la profonda santità di cui dispone; tace, vivendo la più profonda intimità con Dio col trasporto contemplativo del silenzio; gode, con tutta l’anima, della compagnia del Figlio.
Al Figlio Risorto e glorificato, non è solo restituito il trono alla destra del Padre, ma gli è restituita anche Madre.
Maria in Cielo è la Regina Madre alla destra del Figlio.
La sua Assunzione non è l’epilogo della sua condizione terrestre, ma solo l’inizio di una condizione celeste in cui perpetua, come alle nozze di Cana, la sua missione di intercessione presso il Figlio per la Chiesa sposa e adornata di vesti regali per le nozze dell’Agnello.
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