L’ingiusta condanna

Nella Passione si manifesta con veemenza la totale assimilazione di Cristo alla condizione umana.

La sua vulnerabilità fornisce un significato nuovo alla nostra.

S. Paolo parlava di un cardo nella carne.

Alcuni autori hanno creduto si trattasse del fenomeno mistico delle stigmate di cui storicamente si ha notizia solo a partire da S. Francesco di Assisi.

La quasi totalità degli studiosi ritiene piuttosto che l’Apostolo voglia con tale immagine confessare la sua fragilità creaturale per esaltare la forza di Dio.

I successi apologetici, i frutti della sua predicazione, lo sviluppo delle comunità cristiane primitive, lungi dall’autoesaltarlo gli fanno riconoscere l’onnipotenza di Dio.

Più lo strumento di Dio è fragile, più la grazia di Dio può agire in lui senza l’ostacolo del volontarismo o dell’ appropriazione indebita di meriti che sono doni provenienti dall’alto.

Nella tarda Scolastica, teologi come Giovanni Duns Scoto ritenevano che sarebbe bastato un minimo gesto di misericordia di Dio verso l’umanità per redimerla.

Dio ha voluto fare molto di più perché la sua incarnazione e la sua passione non fossero semplicemente funzionali alla nuova creazione dell’uomo.

In Cristo, Dio ha voluto manifestare l’illimitatezza del suo Amore e lasciare un esempio emulativo.

Il pio esercizio della Via Crucis, praticato durante la Quaresima in molte parrocchie e comunità cristiane, ha la forza simbolica di rievocare in successione cronologica e con portata teologica tutto ciò che Cristo ha sofferto.

Si parte dal giudizio di Pilato.

Il Governatore della Galilea era l’unico che aveva il diritto di comminare la morte per gravi reati.

In Gesù non trovò nessuna colpa e rimase piuttosto riflessivo di fronte al suo atteggiamento.

Sperava che il sangue della flagellazione potesse estinguere la sete di morte dei Giudei, ma non fu così.

L’ultimo espediente fu la richiesta di amnistia per un condannato a morte, ma non fu così.

La folle, aizzata e intimidita dai sacerdoti del tempio e dai Farisei, gridò piuttosto la liberazione per uno zelota rivoltoso e assassinio. 

Per Gesù gridò: sia crocifisso!

Alla fine, in un gesto che assumerà una simbologia retorica, Pilato si lavò le mani e consegnò l’innocente agli aguzzini.

Colui che meno di una settimana prima era stato osannato al suo ingresso in Gerusalemme si avviava verso il Calvario, un luogo fuori città riservato ai reprobi.

Il corteo avanzava tra grida di scherni e lamenti di compassione della folla incuriosita e scomposta.

Diversi studiosi riconoscono l’irritualità della condanna di Gesù condotta in modo sommario, senza prove e testimoni convincenti.

Papa Francesco ha scelto anche quest’anno di lavare i piedi ai prigionieri e lo ha fatto ritornando al riformatorio di Casal del Marmo.

La struttura ospita minorenni che hanno commesso atti criminali ma non possono essere perseguiti da una pena detentiva come per gli adulti.

Quest’opera rieducativa verso giovani vite trova la sua ispirazione proprio in quella doppia anima dell’uomo: peccatore e redento.

Il significato della vittoria di Cristo sulla cattiveria infamante che ha subito e sulla sua morte è la fine del male che si manifesta sempre attraverso la misericordia.

In una perenne tensione con la giustizia rappresenta, la misericordia rappresenta il doppio e inseparabile riferimento di ogni giudizio.

Il Venerdì Santo è anche il paradosso della beatitudine dei perseguitati per causa della giustizia perché ogni sistema penale ha finora rivelato falle di parzialità accanto a veri e propri errori di imputazione sulla persona.

Ancora oggi molte persone si ritrovano in carcere ingiustamente ed altre attendono il giudizio in lista di attesa per la lentezza procedurale e strutturale della magistratura.

Il Diritto non esaurisce la giustizia e la stessa, senza la misericordia non è autentica.

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