Teologia rapida, intelligenza vivente per una Chiesa che cammina

Come può la teologia essere davvero all’altezza del cambiamento d’epoca che stiamo vivendo? È il cuore del convegno “La responsabilità della Speranza” del 29 marzo a San Giovanni in Laterano, dove l’interrogativo di fondo non è teorico, ma vitale:

«La filosofia è come la nottola di Minerva: spicca il volo al crepuscolo». La celebre immagine hegeliana ha affascinato generazioni di pensatori. Ma oggi, in un tempo segnato da accelerazioni vertiginose, forse non è più sufficiente. Padre Antonio Spadaro, gesuita e sottosegretario del Dicastero per la cultura e l’educazione, rilancia una provocazione coraggiosa: e se la teologia — sorella maggiore della filosofia — dovesse trasformarsi non più in civetta notturna ma in gallo del mattino? Non più riflessione postuma, ma flessione in atto, una teologia capace di annunciare l’aurora e di segnare, ora dopo ora, il ritmo del giorno degli uomini.

Rapido ma non veloce: il tempo della grazia

Spadaro distingue tra “veloce” e “rapido”. Il veloce è lineare, misurabile, prevedibile: come un treno che corre sull’unico binario dell’alta velocità. Ma il mondo di oggi non si muove su binari. Si muove per salti, per strappi, per crisi. È rapido, nel senso originario del termine: qualcosa che rapisce, trascina, travolge. Pensiamo all’irruzione dell’intelligenza artificiale, al mutamento delle relazioni dovuto ai social media, o al ribaltamento dei ritmi quotidiani generato da tecnologie sempre più pervasive. Qui non basta pensare dopo. Bisogna pensare mentre.

E qui Spadaro propone una visione: una “teologia rapida”, capace di cogliere i segni dello Spirito in tempo reale, come un radar acceso nella notte, come la bussola dei naviganti che non attendono l’approdo per decidere la rotta. Non è teologia affrettata, né superficiale. È discernimento in azione. È contemplazione nell’agitazione. È una teologia “sapida” perché impastata di storia e di umanità.

Oltre la nostalgia, oltre l’utopia: abitare l’oggi

A chi teme che tutto questo sia velleitario o utopico, si può rispondere con l’immagine evangelica tanto cara a Papa Francesco: la traversata del lago in tempesta. Non si tratta di negare la Tradizione, ma di evitare che venga imbalsamata in un passato idealizzato. “Nelle onde non si può usare la retromarcia”, osserva con acutezza Giuseppe De Rita. Non è la solita dicotomia conservatori/progressisti. È la differenza evangelica tra “abituati” e “innamorati”. Tra chi si aggrappa alle consuetudini e chi, spinto dall’amore per Cristo, osa gettare le reti nel mare aperto del mondo di oggi.

La “teologia rapida” non rinuncia alla profondità. Ma sa che oggi la profondità si misura anche nella capacità di essere tempestivi. Come una madre che consola il figlio mentre piange, e non il giorno dopo. Come un pastore che riconosce l’odore delle pecore e sa interpretare il cielo prima che venga la tempesta.

Faro e fiaccola: la verità che cammina

Certo, resta il timore che tutto questo diventi fluttuante, incerto, soggetto ad ogni vento di novità. Ma Spadaro lo aveva già spiegato anni fa: la Chiesa è sì faro, ma anche fiaccola. Il faro è stabile, visibile da lontano; ma la fiaccola accompagna il cammino, illumina passo dopo passo la porzione di strada che l’umanità percorre. La luce è la stessa, ma la forma della sua presenza cambia.

Una teologia rapida non è relativista. È incarnata. Non è impaurita dal presente, né sedotta dal futuro: è immersa nell’oggi con la memoria del Vangelo nel cuore. È fedele alla Tradizione perché la considera una sorgente viva, non una teca da museo. Non abolisce il pensiero lento, lo integra: rapidità e profondità non sono nemiche, ma sorelle.

Pensare le onde

La rapidità dei cambiamenti, spesso guidata dall’evoluzione tecnologica, interpella oggi la teologia in modo pressante. Non si può tacere, ad esempio, di fronte alle sfide dell’intelligenza artificiale, della biotecnologia, della genetica. Il transumanesimo non è un’idea marginale: è già una mentalità diffusa. E la teologia non può permettersi di arrivare sempre dopo, come se l’umano fosse una realtà immutabile. Occorre pensare le onde. Entrarci. Nuotarci dentro. Senza annegare, ma senza rimanere in riva.

Non è forse questa la funzione profonda della “teologia rapida”? Farsi intelligenza vivente nella Chiesa, bussola spirituale e culturale in una società che cambia pelle a ogni alba? Il Giubileo della Speranza ci invita a essere “pellegrini” e non turisti della fede: la speranza, per essere credibile, deve diventare responsabilità. E la responsabilità del pensiero cattolico è anche quella di parlare mentre il mondo cambia, non solo dopo.

La Chiesa, ci ricorda Spadaro, non è chiamata a restaurare, ma a rivelare. Non a rallentare la storia, ma a orientarla. La teologia rapida non è uno slogan. È un’esigenza spirituale e pastorale. È l’umiltà di una Chiesa che vuole camminare accanto, pensare con, parlare in mezzo. È il tempo del gallo, non della civetta.

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