La velazione delle immagini sacre per la Settimana Santa: Teologia e significato

Ogni anno, nella quinta domenica di Quaresima, in alcune chiese ritorna un gesto tanto sobrio quanto eloquente: le immagini sacre vengono velate. Crocifissi, statue dei santi, icone mariane scompaiono alla vista sotto un telo violaceo. È un rito antico, discreto, oggi facoltativo nel rito romano ordinario ma ancora vivo in molte comunità, specialmente quelle più attente alla gradualità liturgica del tempo di Passione. Al di là della sua apparente semplicità, questo gesto racchiude un significato teologico e spirituale profondissimo: ci invita a entrare nel mistero della Croce con occhi nuovi, non più abituati ma purificati.

Le origini di questa prassi risalgono al Medioevo germanico, quando era uso coprire l’intero presbiterio con un grande velo quaresimale – il velum quadragesimale – che separava simbolicamente il popolo dal Santo dei Santi dell’altare, come il velo del tempio di Gerusalemme. A partire da questa pratica, si diffuse l’uso di velare le immagini sacre durante il tempo di Passione, come segno di una liturgia che si faceva via via più austera e raccolta. La riforma tridentina consolidò questo uso, rendendolo obbligatorio fino alle semplificazioni del Novecento, che lo hanno lasciato come uso facoltativo, pur mantenendone intatto il valore simbolico.

Dal punto di vista liturgico, la velatura delle immagini prende senso anche dal Vangelo proclamato nella quinta domenica di Quaresima nel rito tradizionale, tratto dal capitolo ottavo di Giovanni: Gesù, dopo un acceso confronto con i farisei, “si nascose e uscì dal tempio”. Il gesto liturgico del velare diventa allora espressione visiva di questo “nascondimento” del Signore, che prelude al dramma della Passione. Cristo si sottrae alla vista, non per assenza, ma per farci comprendere che solo chi entra con Lui nel mistero del dolore, della solitudine e dell’abbandono potrà riconoscerne il volto glorioso. Si tratta, potremmo dire, di una pedagogia del desiderio: nascondere per suscitare attesa, velare per aumentare la fame di luce.

La teologia del velo è profondamente biblica. Già nell’Antico Testamento, il velo del tempio custodiva il Santo dei Santi, segno della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Quel velo si squarcerà al momento della morte di Cristo, indicando che l’accesso al Padre è ormai aperto a tutti. Ma fino a quel momento, il volto di Dio rimane velato, perché nessuno può vederlo e restare in vita. In questo senso, la velatura delle immagini sacre ci ricorda che il Mistero non è a disposizione, non è “manipolabile”. Non ci appartiene, ma ci precede e ci eccede. Solo nel silenzio, nella sobrietà e nella purificazione dello sguardo possiamo prepararci a contemplarlo.

Dal punto di vista pastorale, questo gesto ha oggi una forza sorprendente. In un tempo dominato dalle immagini, dalla velocità e dall’eccesso di visibilità, velare può sembrare anacronistico. Eppure, è proprio questo “togliere” che educa a una visione più profonda. Quando il Crocifisso viene coperto, non è semplicemente assente: è presente in modo ancora più intenso, perché il nostro sguardo è chiamato a superare l’abitudine e a riscoprire il senso. La fede, d’altronde, nasce proprio dove lo sguardo si fa interiore. E allora anche il velo diventa un segno potente: un invito al raccoglimento, alla sobrietà, alla contemplazione.

Nel Venerdì Santo, durante la solenne liturgia dell’adorazione della Croce, il velo viene rimosso lentamente, in tre momenti successivi. È una delle scene più intense dell’intero anno liturgico. Quel gesto rituale è un disvelamento progressivo del volto di Cristo crocifisso, un “manifestarsi” che culminerà nella luce pasquale della notte di Risurrezione. Ecco allora il significato ultimo della velatura: preparare il cuore al grande incontro, disporre l’anima a riconoscere nel Crocifisso il Risorto, in colui che ha sofferto il trionfatore sulla morte.

Non è nostalgia, non è estetismo liturgico: è fede che si esprime attraverso i segni. Velare le immagini, oggi, può aiutare a educare i fedeli al senso del Mistero, a una liturgia che non dice tutto subito, ma accompagna il cammino del cuore, lo guida passo dopo passo fino alla Pasqua. In un tempo in cui si vuole tutto e subito, il velo è un atto di resistenza spirituale. È la memoria di un Dio che si rivela solo a chi sa attendere.

“Noi vediamo ora come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia” (1Cor 13,12).

Nel frattempo, il velo non è assenza: è promessa.

Potrebbe interessarti anche:

Messaggio Pasquale 2025 di P. Immacolato M. Acquali, FI – Ministro Generale

«Et dicebant ad invicem quis revolvet nobis lapidem ab ostio monumenti?»(«Dicevano tra loro: "Chi ci farà rotolare via la pietra dall'ingresso del sepolcro?») - Mc 16,3 La Pasqua del Signore rivela la solidarietà del Dio vivente con la nostra condizione di pellegrini...

Commenti

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Pin It on Pinterest

DONATIONS
Verificato da MonsterInsights