Maria nella teologia di San Bonaventura: contemplazione e prassi salvifica

La figura di Maria occupa un posto centrale nella teologia del Dottore Serafico, San Bonaventura da Bagnoregio (1221–1274), non tanto in forma sistematica quanto come perno spirituale della sua visione teologica e mistica. In un contesto segnato dalla riflessione francescana sulla redenzione, Bonaventura propone una mariologia intimamente legata alla storia della salvezza e alla vita concreta del credente. In questo senso, si può legittimamente affermare che, per lui, la mariologia non è semplicemente oggetto di speculazione, ma si configura come una prassi spirituale e teologica, destinata a guidare l’anima nell’imitazione di Cristo attraverso Maria.

San Bonaventura non redige un trattato mariologico in senso stretto, ma inserisce la figura della Vergine nel cuore della sua riflessione teologica, soprattutto nel Commentarium in Sententias e nei Sermones mariani. Maria è per lui l’anello decisivo dell’incarnazione e la prima cooperatrice del Verbo nella redenzione dell’umanità. Come nuova Eva, ella è “piena di grazia” in vista della sua elezione alla divina maternità, e vive tale pienezza in totale obbedienza al disegno salvifico del Padre¹.

Uno dei tratti più caratteristici della mariologia bonaventuriana è la sua funzione esemplare ed ecclesiale. Maria non è soltanto la madre di Gesù, ma la prima discepolaicona della Chiesa e forma del cristiano. Ella è la creatura perfetta in cui si realizza l’ideale francescano di povertà, umiltà e ardente carità². San Bonaventura insiste sulla imitazione di Mariaquale via privilegiata di santificazione, affermando:

“Chi vuole essere amico dello Sposo, ami la Sposa, imiti la Vergine, segua la Madre”³.

Il pensiero mariano di Bonaventura si alimenta nella contemplazione liturgica e nella spiritualità del tempo. Nei Sermones de Beata Virgine Maria emerge chiaramente una visione mistica e affettiva della Madre di Dio, che riflette lo stile serafico e poetico del francescanesimo maturo. Maria è l’“aurora lucente”, la “porta del cielo”, la “fontana sigillata”, in cui lo Spirito Santo opera meraviglie⁴. In tal senso, il culto mariano è per Bonaventura occasione di elevazione dell’anima, più che devozione isolata: si tratta di una forma di mistagogia, capace di educare i fedeli al mistero di Cristo attraverso la tenerezza della Madre.

Sebbene San Bonaventura non usi il termine “prassi” nel senso moderno, la sua mariologia è fondata su una finalità spirituale e trasformativa, che la rende eminentemente “pratica”. La contemplazione della Vergine è orientata alla conversione del cuore, alla configurazione a Cristo e alla missione ecclesiale del credente. In questo, Bonaventura anticipa la dimensione pastorale e vitale della mariologia che il Magistero contemporaneo, da Paolo VI a Papa Francesco, ha più volte auspicato⁵.

San Bonaventura offre alla teologia mariana un paradigma profondamente ecclesiale e spirituale. La sua visione, ricca di afflato mistico e senso teologico, aiuta a comprendere Maria come figura integrale della fede vissuta, non solo oggetto di venerazione ma modello da incarnare. In lei si incontrano la teologia, la liturgia e la vita: la mariologia come prassi è, per Bonaventura, la via dell’amore perfetto che conduce a Dio attraverso Maria.


Note

  1. Cf. Commentarium in quattuor libros Sententiarum, III, dist. III, art. 1, q. 2: “De Maria dici potest quod est plena gratia quantum ad totam animam et totum corpus, prae omnibus aliis creaturis.”
  2. Cf. E. Gebara, Mary, Mother of God, Mother of the Poor, Maryknoll, NY: Orbis Books, 1989, p. 48.
  3. Cf. Sermo de Nativitate Beatae Mariae Virginis, in Opera Omnia, IX, Quaracchi 1901, p. 662.
  4. Cf. Sermones de sanctis, ed. Collegii S. Bonaventurae, Quaracchi 1898, IX, pp. 673-690.
  5. Cf. Paolo VI, Marialis Cultus (1974), n. 57; Papa Francesco, Evangelii Gaudium (2013), n. 288.

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